Frères Loups

La famille, n’est-elle pas fascinante ? Nous ne pouvons pas choisir notre famille, alors même qu’il n’y a aucune communauté qui a autant d’influence sur notre vie. Même dans le 21e siècle si globalisé, l’importance du réseau social local est indispensable. Particulièrement dans les périodes de la pandémie, quand on écoute la discussion au moyen d’un écran , l’importance des relations familiales est inestimable. On ne s’étonnera donc pas que le thème de la revue suisse d’échanges littéraires Viceversa soit « Histoires de familles ».

Un groupe de loups; peut-être qu’il s’agit de frères?

Lors du vernissage du quinzième numéro de la revue, un cercle quadrilingue de contributeurs lisaient et discutaient leurs contributions respectives: le Tessinois Fabio Andina, le Suisse romand Benjamin Pécoud, la Suisse alémanique Zora del Buono et une représentante de la littérature romanche, Gianna Olinda Cadonau.

Le premier texte discuté était le conte « Vaterlos » de Zora del Buono. Il s’agit d’une anecdote racontée par une semi-orpheline lors d’un séjour familial au Tessin. Un élément central est la Ferrari du père défunt de la narratrice. Mais la « Ferrari » est-elle vraiment ce qu’on pense ? La discussion met également en valeur la traduction comme expression artistique. Benjamin Pécoud, qui a traduit le conte, explique son choix de titre: « Sans père » au lieu de « Orpheline ». La grande difficulté quand on traduit une langue agglutinante comme l’allemand consiste dans le fait de devoir tenir compte que deux mots identiques peuvent avoir des connotations variées dans des langues différentes.

« Vie dans les bois » de Fabio Andina (lu en italien), explore la relation entre deux frères. Ils se disputent, se réconcilient et étudient leur relation familiale. Jusque là, tout est clair et habituel, mais juste avant la fin du conte, le narrateur révèle qu’il ne s’agit pas de deux frères ordinaires: les deux « hommes » poilus ne sont pas du tout des hommes, mais des loups. Ce choix est certainement pertinent: d’une part, on sait que les loups sont des animaux sociaux, de l’autre, le loup est un thème très controversé en Suisse. En fait, la révélation finale ajoute un deuxième rebondissement au conte: le collier qui est mentionné est en fait un traceur GPS. Donc, même dans la fiction, l’influence humaine est inéluctable.

La vernissage se termine avec la lecture d’un choix de poésies bilingues (allemand/romanche) de Gianna Olinda Cadonau. Un premier poème est adressé à son père, un second à sa mère et un dernier à la maison paternelle. Ils s’agit trois fois du même texte en deux langues différentes, écrit de la même plume, et pourtant, on a l’impression d’entendre des poèmes différents. N’est-ce pas fascinant qu’on s’imagine une maison sur un pente au-dessus de Disentis lors de la lecture en romanche, mais une maison urbaine en pleine ville lors de la lecture en allemand ? Cadonau révèle également qu’elle n’a pas de langue préférée dans laquelle elle rédige ses textes, mais que cela est un processus spontané : certains textes naissent en romanche puis sont traduits en allemand, et vice-versa.

Après avoir lu un livre, on se demande souvent ce qui en reste. Ces contes et poèmes donnent indubitablement un sens accru de la connectivité : une connexion entre l’homme et la nature, des connexions familiales et enfin des connexions entre les régions linguistiques suisses.

Donatella Di Pietrantonio: Borgo Sud

La presentatrice Carlotta Bernardoni-Jaquinta parla con l’autrice Donatella di Pietrantonio del suo ultimo romanzo, Borgo Sud. È la storia di due sorelle. Due sorelle molto diverse che portano con sé lo stesso dolore. Nella vita adulta vanno in direzione diverse affrontando la vita in maniera distinta. Adriana si getta senza regole. Ha fame di vivere e non calcola i rischi. Si presenta all’improvviso dalla sorella una notte, senza preannuncio. Sa, che l’altra c’è. Quello delle due sorelle è un legame incondizionato. Hanno la certezza che qualsiasi cosa fanno, l’altra c’è – sempre.   

La moderatrice passa con sensibilità a un altro elemento centrale del libro, quello della famiglia.  È il luogo di origine e quindi impossibile separarsi. Il rapporto con la famiglia, soprattutto con la madre è difficile. Nonostante la madre sia sempre stata riluttante, entrambe le figlie hanno bisogno di questo legame per potersi sentire figlie.  Tuttavia, aggiunge Donatella Di Pietrantonio, si tratta di un legame ambivalente. Hanno un disperato bisogno di liberarsi dalla origine pesante. Però hanno anche bisogno di ritornare, di ricongiungersi, per vedere se il vuoto si è colmato, in un qualche modo. Per vedere se la madre sia diversa da quella che era prima, impegnata e scostante. Il vero danno, spiega Donatella Di Pietrantonio è che il gesto di attenzione non arriva. E quindi le figlie vivono in uno stato di indegnità, cioè di credere di non aver meritato l’amore della madre.   

Carlotta Bernardoni-Jaquinta passa a un altro punto interessante del libro: Un grande peso nel ruolo di figlia è l’idea di portare in sé l’idea di madre. Un giorno sarà proprio lei, adesso figlia, a prendersi cura della madre quando un giorno sarà anziana. Avrà luogo un’inversione dei ruoli. La scrittrice racconta che in Italia l’idea che le figlie si devono prendere cure delle madri è molto radicata. Infatti, avviene uno scambio di ruoli, come si diceva prima. Non è facile, anzi, è molto più difficile che prendersi cura del corpo anziano che dei figli perché subentra una forma di pudore e timore soprattutto nell’accudimento delle zone intime dei genitori.  

Inoltre, l’idea dei luoghi è importante in questo romanzo. Per esempio, Borgo Sud è un quartiere esistente di Pescara. Un quartiere che sembra un villaggio, abitato da una comunità solidale, coesa, unita nel bene e nel male. Adriana con le sue caratteristiche è adatta a questo luogo. Anche quando la sorella le offre di trasferirsi in un posto più comodo, lei rifiuta. Dice che lei non può capire. Esiste uno scambio reciproco di identità. Anche il luogo ha bisogno di Adriana, come lei di lui.  

Si parla in seguito della dimensione temporale: Il presente è molto stretto, quasi inesistente. Infatti, è presente una singola notte di angoscia, quando la narratrice ritorna da Grenoble a Pescara. Il passato lo rivive con la memoria facendo delle libere associazioni senza seguire una linea diritta. Alle spalle di quella notte c’è tutto un passato che la narratrice ci racconta a pezzetti. Come se fosse un nodo che si scioglie man mano.    

In rapporto con il tempo – cioè questo presente molto denso – c’è la lingua asciutta, esatta. Un equilibrio che si rispecchia anche sulla narrazione. Come si arriva a questo equilibrio? Donatella Di Pietrantonio cita quella che per lei è stata grande fonte di ispiratrice: Agota Kristof. Da lei ha visto una focalizzazione estrema su un elemento della frase, che deve illuminare il resto. Infatti, prima la scrittrice italiana scriveva diversamente, con subordinate. A un certo punto però c’è stata la svolta.  

La superstizione è l’ultimo elemento che le due donne toccano in questa discussione sulla lettura di Borgo Sud. L’autrice proviene da un mondo rurale però evidentemente è molto legata alla parola scritta. La sua lingua madre è il dialetto. Un dialetto limitato che ha un numero ridotto di parole.  Eppure, continua Donatella Di Pietrantonio, si è legata attraverso le molte letture alla forma scritta. Avvolte le capita tuttora di dovere vedere la parola scritta per capire il senso della parola. Anche per poterla memorizzare. Tuttavia, l’oralità possiede una grande potenza antropologica dell’espressione. La maledizione che la madre getta sulla figlia Adriana è una formula antica e orale. Potente come si pensa che siano i riti, le superstizioni. Alla fine, la figlia laureata, l’io narrante, subisce anche lei la suggestione di questa superstizione: vorrebbe togliere quella maledizione, lanciata dalla madre contro la figlia.  

E con la potenza della parola, simbolo emblematico di quello che stiamo facendo in queste giornate di letteratura a soletta, si chiude la conversazione molto stimolante.  

«Un italiano con più angoli, meno rotondo»

Ruth Gantert im Gespräch mit Vincenzo Todisco

Ruth Gantert benennt, was unausgesprochen im (virtuellen) Raum steht: Zwar leite sie eine Veranstaltung, die sich «Übersetzer im Porträt» nennt, doch sei «Übersetzer» nicht das Erste, was ihr zu Vincenzo Todisco einfällt. Sie denke da vielmehr an den Autor, der schon seit über zwanzig Jahren Erzählungen und Romane auf Italienisch publiziere. Oder den Professor an der PH Graubünden. Elegant spielt sie somit ihrem Gesprächspartner Vincenzo Todisco den Ball zu und möchte nun selbstverständlich mehr über seine Übersetzungsarbeit wissen.

Das Eidechsenkind ist Todiscos erster Roman auf Deutsch. Mit Il bambino lucertola legt er auch gleich die italienische Übersetzung vor. Diesen Transfer des eigenen Textes in die andere Sprache verstehe Todisco aber weniger als Übersetzungsarbeit sondern vielmehr als «lavoro di riscrittura», also einer Art Umschreiben. Er habe dieselbe Geschichte mit einem anderen «Instrument» erzählt. 

Diese Geschichte ist beklemmend, fast schon kafkaesk: Das titelgebende Eidechsenkind muss sich verstecken, soll kein Geräusch machen, darf eigentlich nicht sein. Ein klandestines Schicksal, erzählt durch die alles beobachtenden Augen des Saisonnierkindes. Aus unmenschlichen Bedingungen heraus entwickelt es «animalische» Begabungen, den Wohnblock mit seinen verschachtelten Verstecken und dem vierstöckigen Treppenhaus macht es heimlich zu seinem «Revier».

Weshalb er sich ursprünglich dazu entschieden habe, diesen Roman auf Deutsch zu schreiben? Todisco wechselt für seine Antwort kurzerhand die aktuelle Konversationssprache von Italienisch auf Deutsch. Von da an findet das Gespräch im fliegenden Wechsel zwischen Deutsch und Italienisch statt. Das hat mitunter auch den lehrreichen Nebeneffekt, dass die unterschiedlichen Charakteristika der Sprachen gleich ungezwungen mitvorgeführt werden. Das Italienische sei für Todisco eine «Bauchsprache», das Deutsche «Kopfsprache» – ein Bild, das er häufig verwendet. Da habe er in erster Linie einfach das Bedürfnis gehabt, Deutsch auch zu einer «Bauchsprache», einer intuitiveren Sprache, zu machen. Deutsch sei für «Das Eidechsenkind» aber schlicht auch das geeignetere «Instrument» gewesen. Es bedurfte ihm der «lingua molto più asciutta», dem «knapperen, dichteren» Deutsch anstelle des «barocken, emphatischen» Italienisch. 

«Quando voltano l’angolo, gli altri bambini fanno una curva, il bambino lucertola invece disegna un angolo retto, in modo da poter contare ogni singolo passo.»

Eine der Herausforderungen beim Übersetzen war denn auch, durch den «Filter» der deutschen Sprache das Italienische zu entschlacken. Für dieses knappere Italienisch findet Gantert gleich ein schönes Sprachbild im vorgetragenen Textbeispiel: Das Eidechsenkind nimmt die Kurve im rechten Winkel – also «eckig» anstelle von «rund». Könne man das so ähnlich nicht auch von der «eidechsenartigen, eckigen» Sprache des Romans behaupten? Todisco ist ganz begeistert von dieser Parallele. «Un italiano con più angoli, meno rotondo», so habe er das noch nie erklärt. 

Aber auch ein Italienisch «mit mehr Ecken» reicht zuweilen nicht hin, um die flüchtige Konzeption des Kindes entsprechend einzufangen. So habe er «das Kind» im deutschen Text verstecken können, es gibt seine Identität nicht Preis. «Il bambino» jedoch zeichnet ein viel konkreteres Bild, man wisse aufgrund des Genus sofort, dass es sich um einen Jungen handelt. 

Zum Schluss die obligate Frage, wie es weitergehe, auf Deutsch oder Italienisch? Zu viel möchte Todisco von seinem neuen Romanprojekt nicht preisgeben. Doch wird es ein deutscher Text mit italienischem Schauplatz sein. Aber in einem «elaborierteren» Deutsch als im Eidechsenkind, weniger knapp. Das sei das Schöne an der «neuen Bauchsprache», er könne sie je nach Herausforderung anders einsetzen.